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Giornale di Taranto - EX ILVA/ Cigs per 5200 in cigs: trattativa in salita, azienda pronta a integrare al 70%
Mercoledì, 03 Luglio 2024 05:26

EX ILVA/ Cigs per 5200 in cigs: trattativa in salita, azienda pronta a integrare al 70% In evidenza

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 Partenza in salita per la trattativa al ministero del Lavoro sulla cassa integrazione straordinaria che Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria, l’ex Ilva, ha chiesto per 5200 dipendenti, per un anno, di cui 4.400 a Taranto. “Non c’è ancora aria di rottura ma siamo distanti”, ha dichiarato all\'AGI una fonte sindacale presente al tavolo ministeriale. 

La trattativa si è aperta ieri mattina al ministero del Lavoro, presenti l’amministrazione straordinaria dell’azienda, l’ex Ilva, i sindacati, il Governo e le Regioni sedi degli stabilimenti siderurgici, tra cui Puglia e Liguria. Cassa per un anno, con possibilità di proroga, che vede già i numeri presentati dall’azienda: 5.200 unità totali di cui 4.400 a Taranto.

    Si tratta di un impatto forte sull’organico se si considera che l’ex Ilva ha ora 9.869 dipendenti e che di questi 8.025 sono a Taranto. Se quindi dovessero essere confermati questi numeri, i cassintegrati rischiano di essere più della metà della forza lavoro, una quota molto alta, mentre ora la cassa coinvolge 3.000 addetti di cui 2.500 a Taranto. In tutti i casi si parla di numero medio massimo. Per Acciaierie,  l’amministrazione straordinaria guidata dai commissari spiega che con un solo altoforno in marcia, il 4, “la produzione allo stato si attesta su volumi pari a max 1.000.000-1.500.000 tonnellate annue”. C’é una previsione di “graduale incremento sino a raggiungere circa 2.500.000-3.000.000 tonnellate”, ma riguarda “dicembre 2024 a seguito della ripartenza dell’altoforno 2”. Ne consegue, per AdI, che “i livelli produttivi attuali ed attesi non sono sufficienti a garantire l’equilibrio e la sostenibilità finanziaria”. 

    Per Acciaierie d’Italia la via d’uscita sta nella “progressiva attuazione del programma”, a partire dal piano di ripartenza da 330 milioni, di cui 280 relativi a lavori di ripristino a Taranto, per finire al prestito ponte da 320 milioni, sul quale si attende ancora il via libera della Commissione Europea. Questo programma “consentirà di pervenire gradualmente ai livelli produttivi attesi e, al completamento dello stesso, al pieno utilizzo dell’organico”, dicono i commissari di AdI. 

    Intanto l’azienda ha lanciato ai sindacati segnali di dialogo, anticipando che stavolta la gestione della cassa sarà molto diversa da quella di Acciaierie a trazione Mittal-Morselli, che la rotazione del personale in cassa sarà effettiva e che per i dipendenti ci sarà un’integrazione economica. “L’azienda ha assicurato un’integrazione al 70% dell’indennità di cigs, oltre che a importanti pacchetti di formazione in presenza. E’ stato anche confermato il criterio della massima rotazione possibile dei cassaintegrati per evitare persone a zero ore”. si legge infatti in una nota.

 “Durante la riunione sono emersi temi importanti da parte delle sigle sindacali che il management di Acciaierie d’Italia in Amministrazione straordinaria si impegnerà a risolvere, sottolineando la totale disponibilità a trovare soluzioni condivise con le associazioni sindacali” afferma l’azienda, che era rappresentata dal direttore generale Maurizio Saitta e dal direttore delle Risorse Umane, Claudio Picucci. “I rappresentanti sindacali nazionali hanno informato il tavolo - annuncia infine AdI in as - che le loro strutture confederali hanno richiesto un incontro alla presidenza del Consiglio dei Ministri in ordine alle prospettive future e al rilancio di Acciaierie d’Italia. In conclusione, il rappresentante del Ministero del Lavoro, ha confermato che verranno calendarizzate ulteriori riunioni sul tema della cassa integrazione nell’ottica di raggiungere un accordo condiviso”.

Intanto i sindacati esprimono preoccupazione su un futuro quanto mai incerto.

“La richiesta di cassa integrazione formulata da Acciaierie d\'Italia, con numeri così drastici, rischia di compromette del tutto il senso di discontinuità che l\'amministrazione straordinaria ha provato a dare fin qui attraverso un dialogo costruttivo e un\'interlocuzione abbastanza costante e schietta”. Lo dichiara Usb, con Franco Rizzo e Sasha Colautti. L’azienda ha chiesto la cassa per 5.200 dipendenti. “Manca quasi del tutto - dice Usb - la discussione sul piano industriale e mancano le garanzie sulla sostenibilità economica per realizzarlo. Garanzie che può determinare solo il Governo. Di sicuro dall\'amministrazione straordinaria non ci aspettavamo miracoli, ma il livello di incertezza che ci è stato rappresentato al tavolo odierno è troppo alto e dà alla nostra organizzazione sindacale la sensazione che anche la partita sulla vendita al privato prospetti l\'ennesimo regalo di stato dove a pagare sono sempre i lavoratori e i cittadini”. L’Usb dice che “serve che la discussione sui presupposti di realizzazione del piano di rilancio sia seria, per affrontare nel merito, anche nei territori, il quadro complessivo, anche e soprattutto alla luce dell\'ultima sentenza della Corte Europea”. Quest’ultima una settimana fa, rimettendo le decisioni al giudice nazionale, ha detto che l’attività della fabbrica va fermata se costituisce un grave pericolo per la salute. 

 “Oggi non era la giornata nella quale entrare nel dettaglio spicciolo della cassa integrazione, anche se molto si è fatto, ma era la giornata di aggiornamento sulla prospettiva che quest’azienda deve avere. Ci è stato presentato dall’azienda un primo approccio sull’aumento dei fornitori, sulle richieste che sono state fatte, sugli acquisti, proprio perchè probabilmente è loro volontà dimostrare quello che stanno facendo”. ha detto Valerio D’Alò, segretario nazionale Fim Cisl, all’uscita del ministero. “Ci è stato anche presentato un piano su come quel piano di ripartenza - ha aggiunto D’Alò a proposito dell’intervento da 330 milioni per il ripristino degli impianti negli stabilimenti, presentato lo scorso 7 maggio - stia dando le sue prime risposte. Noi abbiamo posto argomenti imprescindibili. La cassa integrazione, se deve partire come procedura, deve sì puntare al quadro attuale, un milione di tonnellate che produciamo, ma deve dare anche risposte e certezze di cosa succede nel momento in cui gli impianti ripartono e il tonnellaggio aumenta. Per noi questo è fondamentale. Poi, e su questo l’azienda ha già dato delle aperture, e questo agevola la discussione, il trattamento che deve essere riservato ai lavoratori che deve essere assolutamente lontano dall’idea di gestione Morselli, per cui integrazione salariale, rotazione, formazione in presenza. L’azienda ci ha dato delle disponibilità anche ad una integrazione salariale che tocchi il 70 per cento e porti questa cassa a quella di Ilva in as. È stato chiesta da noi anche la tutela di tutto il bacino di lavoratori, compresi i 1600 di Ilva in as, e il pezzo di validita dell’accordo del 2018 su questi temi. Abbiamo ancora - ha concluso D’Alò a proposito dei 5200 cassintegrati - forti distanze sui numeri della procedura”.

“L’incontro al ministero del Lavoro è stato un deja vù. Ancora una volta, dal 2019, anno della prima cassa integrazione unilaterale da parte di ArcelorMittal, siamo di nuovo a parlare di cigs a fronte di migliaia di lavoratori e famiglie che invece soffrono da anni, in attesa di risposte sul loro destino”. Lo dicono per la Uilm Guglielmo Gambardella e Davide Sperti .“Per tutte queste ragioni - dichiara la Uilm -, respingiamo con determinazione questo ennesimo tentativo di prendere tempo a discapito del futuro di migliaia di persone e con il concreto rischio di generare un disastro ambientale, industriale ed occupazionale”. 

 Secondo Gambardella e Sperti, “ancora una volta ci siamo ritrovati di fronte ad una procedura di cassa integrazione, con numeri quasi raddoppiati di lavoratori rispetto a quella precedente, senza confrontarci seriamente su una prospettiva che dia certezze a 20mila lavoratori di tutto il sistema ex Ilva, compresi le migliaia di lavoratori del sistema degli appalti per i quali permane una condizione di grave sofferenza e incertezza sotto ogni punto di vista. Per quanto ci riguarda - rilevano i sindacalisti Uilm -, fermo restando l’integrazione salariale alla cigs che deve essere riconosciuta ai lavoratori, a prescindere dall’eventuale accordo, per alleviare le gravi difficoltà persistenti, non si può continuare a parlare solo di cassa integrazione, legata alla durata dell’amministrazione straordinaria, senza avere un percorso di ripresa di tutte le attività e che ci faccia vedere una prospettiva di risalita produttiva e di rientro di tutti i 5.200 lavoratori, avendone già 1.600 in cigs nell’Ilva in AS, e che dia garanzie anche ai lavoratori delle aziende dell’indotto”.

   “È altrettanto chiaro – sottolineano Gambardella e Sperti - che è complicato discutere di cassa integrazione alla vigilia dell’ennesima procedura di vendita, annunciata dal ministro Adolfo Urso, per la quale è a noi sconosciuto il perimetro industriale ed i vincoli dei livelli occupazionali con cui verrà avviato il bando. È indispensabile - sostiene la Uilm - avere certezza delle adeguate risorse messe a disposizione per l’annunciato piano di ripartenza, a partire dal prestito ponte di 320 milioni, di cui si è ancora in attesa dell’approvazione da parte della Commissione europea, fra l’altro insufficienti anche per fare la sola manutenzione di tutti gli impianti” aggiungono. Se si vuole veramente rilanciare Ilva c’è bisogno di risorse che permettano l’acquisto di materie prime per un volume d’affari potenziale di diversi miliardi - afferma la Uilm -. Altrimenti non c’è discontinuità rispetto alla gestione Mittal e si continuerà a tirare a campare solo qualche altro mese”.

Lu.Lo.